Il futuro del futuro.

di Francesco Piccolo

Da anni, io e mia moglie discutiamo sempre della stessa cosa: del presente e del futuro. Io penso al futuro continuamente — lei dice: ossessivamente. Lei pensa al presente continuamente, anzi ossessivamente. Abbiamo scoperto che in ogni evento della vita, anche comprare pane bianco o integrale oppure decidere chi porta il bambino in piscina, la questione del presente e del futuro si pone sempre. Se per esempio dico che bisogna pagare il nuoto, e dico paghiamo ogni mese o in una rata unica?, lei mi guarda con espressione filosofica, molto sapiente, e dice: un mese alla volta, perché se poi moriamo?
Mia moglie è contraria a ogni prospettiva che scavalchi la settimana corrente. Perché, dice: se poi moriamo, che ci occupiamo a fare di cosa deve succedere lunedì prossimo? Quindi, secondo lei, non bisogna avere nessun progetto a scadenza media o lunga, e bisogna approfittare di tutto quello che ci capita nel presente.
Noi dobbiamo mettere un po’ di soldi da parte, dico io, poi diventeremo vecchi e dovremo sopravvivere, abbiamo dei figli, il nostro compito è anche quello di costruire, di pensare, di progettare. E lei mi guarda sempre come se conoscesse davvero come è fatto il mondo, e dice: e se poi moriamo? Così, vuole fare un viaggio nei Paesi tropicali, vuole comprare i vini più costosi del mondo, vuole fare esperienza di qualsiasi cosa (vabbe’, non proprio qualsiasi — cioè non lo so, spero non proprio qualsiasi…) perché dice: facciamola, perché possiamo morire all’improvviso e non l’abbiamo fatta.
Immaginate la sua espressione se intravedo la possibilità di acquistare una casa, facendo un mutuo, che però dico che possiamo pagare, certo dobbiamo stare un po’ attenti, ma è importante fare un investimento in modo che poi, quando diventiamo vecchi — lei mi guarda e dice: e se poi moriamo?
Per mia moglie, quindi, il futuro non esiste. Esistono tanti presenti consecutivi di cui dobbiamo subito approfittare perché potremmo morire all’improvviso.
Quando dice queste cose, quando dice prendiamo tutti i soldi che abbiamo e andiamo in Polinesia, che ce li teniamo a fare i soldi, e se poi moriamo? — io mi chiedo sempre: ma se poi moriamo, chi se ne importa di essere andati in Polinesia? Cioè, quando poi siamo morti, a chi lo diciamo che siamo stati in Polinesia? Che differenza c’è tra un morto che è andato in Polinesia e un morto che non ci è andato? Mettiamo anche che ci sia davvero il Paradiso e ci sia davvero San Pietro sulla porta, cosa gli diciamo: guardi che però noi siamo andati in Polinesia? Ma lui probabilmente risponderà: e a noi che ce ne importa, scusi.

Lo so che a voi sta più simpatica mia moglie; lo so che se c’è qualcuno che vuole accendere un mutuo subito l’interesse verso questa persona si affloscia, e se c’è qualcun altro che vuole sperperare tutti i soldi appare molto interessante e seducente; e lo so che poi se devono fare un film, fanno un film su un professore che dice ai suoi studenti di cogliere l’attimo fuggente e non su un signore che mette da parte i soldi destinati all’Iva così quando poi deve pagarla ce li ha perché è stato previdente. Però, del resto, la questione della vita è che esistono sia il presente sia il futuro. E che è assolutamente vero che succede troppe volte che uno fa tanti progetti, pensa alla vita come a un periodo lunghissimo in cui sperimentare tante cose e poi all’improvviso muore e tutto questo non ha avuto nessun senso, lo so. Però c’è una questione di cui mia moglie non tiene conto, anche se il suo ragionamento è legittimo: mia moglie elimina dalla sostanza della vita una questione che pure spesso è anche più probabile di quella che pone lei.
E se non moriamo?
Perché è verissimo che possiamo morire all’improvviso investiti da un’auto o in un incendio o per una malattia improvvisa o per un infarto. Ma se non succede? Se poi diventiamo veramente vecchi e tutti i soldi li abbiamo spesi in Polinesia e non so dove altro, cosa ci diciamo, che purtroppo non siamo morti e invece dovevamo morire prima, perché adesso non abbiamo più niente? Ci chiediamo: ma perché non siamo morti, mannaggia?
Così, alla fine, tutte le nostre discussioni alla fine si condensano in questo dialogo di essenzialità filosofica.
Lei dice: e se moriamo?
E io dico: e se non moriamo?
Il presente e il futuro in questo dialogo esistenziale si divaricano, si mettono contro, diventano due schieramenti che intendono ottenere più voti dell’altro. Ma la verità è che il presente e il futuro si combinano, non si oppongono. Sono uno conseguenza dell’altro. E che si può prendere tutto ciò che si può dal presente ma continuando a tenere un piede nel futuro, per costruirsi un progetto di vita, per ritrovare qualcosa anche dopo, nell’eventualità che una tragedia improvvisa non ci colpisca. Perché è assolutamente vero che può colpirci; ma è altrettanto vero che può non colpirci. E così devo sempre confessarle che io al futuro ci penso, non posso fare a meno di farlo. Il fatto stesso di essere uno che scrive è fonte di progettualità, tempi lunghi, idee che poi qualcuno vedrà dopo qualche anno. Se dovessi pensare: e se muoio?, non scriverei più.
Mia moglie annuisce, per niente convinta. E poi appena ci dicono che qualcuno ha avuto un infarto, una malattia grave, un incidente — non voglio dire che è contenta, per carità, anzi; è dispiaciutissima e sofferente. Però conserva sempre la lucidità di venirmi subito a cercare per dire: lo vedi? lo vedi la vita com’è? È inutile costruire, fare un progetto, perché se poi fai un incidente, hai un infarto o scopri una malattia grave… L’unica cosa sensata da fare nella vita è prendere subito un aereo e andare in Polinesia (io poi non so cosa ci sia in Polinesia che la attira tanto).

E poi è arrivato il 13 novembre a Parigi — e tutto quello che questo terrorismo ci ha mostrato prima e che abbiamo vissuto prima, e dopo. Ma gli attentati di Parigi sono la definitiva svolta della perdita di serenità nella vita quotidiana, e nella testa di ognuno di noi, da allora, passa ogni tanto un’ombra che ci fa astrarre dalla nostra vita — se siamo in metro, in un caffè affollato, a un concerto, nei pressi di un monumento importante — e ci fa guardare intorno e osservare quel luogo come un possibile luogo tragico, ci fa scrutare con sospetto esseri umani che sembrano sospettabili, non si capisce nemmeno perché, visto che stanno solo per i fatti loro; ma non è colpa loro, è la nostra paura. E per un attimo questa paura ci soffoca e comprendiamo di sentirci indifesi e insicuri nei luoghi dove di solito eravamo a nostro agio e spensierati. Questa paura è penetrata nelle ore della nostra giornata.
Di conseguenza, ci ha messo nelle condizioni di avere in testa quel pensiero: e se moriamo?
Mia moglie adesso sente di essere portatrice di una verità assoluta, perché questo pensiero si è affermato davvero in moltissimi di noi. Fa parte della nostra esistenza in modo oneroso e spaventoso, visibile. Nella nostra quotidianità è entrato a far parte l’atto terroristico improvviso e senza criterio, quindi sembra che mai come in questo momento, nella nostra vita, il futuro sia un elemento fragile, messo a repentaglio. Il terrorismo vuole ottenere tante cose, tra cui questa: che costruiamo a fare, cosa progettiamo a fare? Vuole ottenere proprio che noi viviamo pronunciando di continuo quella frase: e se moriamo?
Ma io non mi arrendo, né a mia moglie né ai terroristi. Credo anzi che l’unica possibilità che abbiamo sia opporre una convinzione minimal-illuminista: credere fortemente nel futuro. Costruire progetti a medio e lungo e lunghissimo termine. Questo è l’unico modo di stare al mondo di noi tutti che potremmo essere colpiti all’improvviso. Il futuro è un elemento oppositivo: respinge la paura, l’irrazionalità, la tentazione di piegarsi alla caducità. È un atto irrinunciabile per chi crede che le ragioni e gli esseri umani siano il valore della propria cultura. All’improvviso, accendere un mutuo non è più un atto qualsiasi, ma un atto illuminista, un pensiero propositivo contro quello distruttivo. Le rate da pagare per venti anni. La vita da vivere con l’idea di sopravvivere.
Ecco cosa bisogna ipotizzare: se non moriamo, se diventiamo vecchi. Questo significa continuare a pensare al futuro.
Se la vita vale la pena viverla, è perché si riesce a immaginare un futuro; quasi sempre lo si immagina migliore, e quindi è addirittura promettente. Perché poi, se davvero vogliamo ricorrere alla filosofia, anche io potrei dire quando mia moglie mi propone il viaggio in Polinesia: in Polinesia? E se poi moriamo? O in modo più definitivo: vivere? E che viviamo a fare? E se poi moriamo?

5 Replies to “Il futuro del futuro.”

  1. ti dirò…
    a me l’idea di non morire comincia a spaventarmi quasi di più di quell’altra.
    in fondo, il termine è uno scarico di responsabilità, una soluzione, soprattutto in un mondo che fa di tutto per intralciare i tuoi progetti.
    perchè se muori e non sei andato in polinesia, come dici te, alla fine può non accorgersene nessuno, ma se non muori ma ti hanno licenziato a 50 anni, se non muori ma ti hanno messo sotto sulle strisce e sono scappati, se non muori ma le bricioline che avevi messo da parte vengono bruciate sull’altare dell’economia globale, se non muori e salta fuori che gli studi che hai fatto per 10 anni contano meno dell’essere nato bene…
    ecco, lì son cazzi.
    ed ogni volta che ci pensi hai di fianco te morto e felice dopo essere stato in polinesia…

    come dicono gli ‘mmericani: “vuoi far ridere Dio? raccontagli dei tuoi progetti”

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  2. Il paradosso più interessante di tutta questa paradossale riflessione è che, mentre a livello pratico tu ragioni sul lungo termine e tua moglie sul breve, a livello teorico tua moglie ha ragione sul lungo termine (tutti moriremo, prima o poi) e tu sul breve (finchè non moriamo, siamo vivi – La Palice docet).
    Comunque andateci in Polinesia, che è bella! Io ci sono andato e sono ancora vivo per testimoniarlo. E chissà, magari sono vivo proprio per quello, vai a saperlo!

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  3. mi ricorda quando ero piccolo: che lo faccio a fare il letto se poi ci ridormo? perchè devo mettere a posto le cose se poi lo riuso?
    in realtà non mi andava di farlo o impegnarmi in qualcosa.

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