Draghi, la grande paura: “L’Europa non tiene”.

venerdì 08/04/2016TERREMOTI
ROSSI (BANKITALIA): “PER LE BANCHE SERVE UN INTERVENTO PUBBLICO”. CROLLI IN BORSA
di Marco Palombi
Preoccupato – Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi – LaPresse

Il linguaggio è quello paludato di sempre. I contenuti, però, non potrebbero essere più dirompenti, specialmente se le parole di ieri di Mario Draghi vengono lette in combinato disposto con quelle dei vertici di Banca d’Italia: la situazione nell’Eurozona non tiene più, in Italia anche meno. Il contesto è noto: le banche europee – a partire da Deutsche Bank – non se la passano bene, anche peggio dell’economia nel suo complesso. Deflussi consistenti di capitali dai Paesi periferici verso Germania e altri Stati del Nord sono ripresi negli ultimi mesi (lo si nota nei cosiddetti saldi Target2): il pericolo è che si inneschi una nuova crisi di debito estero come quella che mise in ginocchio l’Europa nel 2011 (quella che viene chiamata, sbagliando, “crisi dei debiti sovrani”).
QUANTO CONTA RENZI?
Il governatore: “Senza la Bce, la recessione italiana sarebbe durata fino al 2017”

Il governatore Mario Draghi ha scritto quanto segue nella prefazione al Bollettino della Bce per il 2015 uscito ieri: “Le prospettive per l’economia mondiale sono circondate da incertezza. Dobbiamo fronteggiare persistenti forze deflazionistiche. Si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi choc”. Ha scritto anche altre cose, ma è quella frase che in pochi minuti è finita sui siti di tutto il mondo: non si sa se l’Eurozona resisterà al prossimo choc.
Il pensiero di tutti è andato al settore bancario, la cui redditività va appena meglio degli indici di Borsa, che sono ai minimi storici. Il rischio di default del settore, ad esempio, ieri era tornato ai livelli di febbraio, cioè a prima che Draghi armasse il suo nuovo super-bazooka. Il prezzo dei titoli, poi, nel 2016 ha subito un tracollo che ha precedenti solo nel 2011 e nel 2012, prima del famoso “whatever it takes” con cui salvò (temporaneamente) l’euro. Draghi ha sparato le sue cartucce e non pare averne altre: i mercati non hanno avuto neanche un sussulto alla notizia, contenuta nei verbali della Bce pubblicati ieri, che “non è escluso un nuovo taglio dei tassi in caso di necessità”.
E infatti il sistema bancario europeo è di nuovo tracollato nei vari listini, quello italiano come e peggio degli altri: Monte dei Paschi ha perso l’8%; Banco Popolare il 7,5; Ubi Banca il 6,2; Unicredit il 5,9; Mediobanca il 5; Intesa il 3,3. Cosa significhi l’impotenza di Draghi per l’Italia lo ha spiegato invece Ignazio Visco (da Francoforte): senza il Quantitative easing della Bce (acquisti di titoli di Stato e bond aziendali) iniziato a giugno 2014 “la recessione italiana sarebbe finita solo nel 2017 e l’inflazione sarebbe rimasta negativa per l’intero periodo di tre anni”. Insomma, secondo le stime di Bankitalia il fattore Renzi (comprese le famose riforme, dal Jobs act in giù) vale zero.
Non solo: tra i fattori di rischio sistemico Visco cita pure l’impoverimento del lavoro dipendente. Questa la frase: “In alcuni contratti firmati di recente in Italia si prevede che parte dei futuri aumenti degli stipendi sarà rivista al ribasso in caso di inflazione inferire alle previsioni: un’adozione generalizzata di questo modello abbasserebbe significativamente il tasso di crescita dei salari e questo si rifletterebbe nelle dinamiche dei prezzi al consumo” (ma allora non basta il bazooka…).
Sono comunque le banche la linea di faglia. La situazione in Italia non si sblocca: il governo non riesce a trovare la formula per gestire gli aumenti di capitale richiesti dalla Bce a molte banche (servono circa 7 miliardi), né a capire come gestire i crediti inesigibili (le sofferenze) che uccidono il sistema. I paletti europei sugli aiuti di Stato, ovviamente, sono l’ostacolo principale: se l’accordo sugli aumenti di capitale pare chiuso, la questione sofferenze è in alto mare.
Affrontare questo lato del problema ieri è toccato al direttore generale di Banca d’Italia Salvatore Rossi: “L’unione bancaria europea non è completa, né perfetta”, ha detto in un convegno. E cosa manca? Soprattutto “un back stop pubblico temporaneo per i casi in cui l’applicazione del bail-in, invece che alleviare, finisca per esacerbare i rischi di instabilità sistemica”. In sostanza, dice Rossi, tosare i risparmiatori in caso di crac bancari (modello Etruria) distrugge “la fiducia degli investitori, bene pubblico impalpabile e volatile, al cui venir meno la stabilità dell’intero sistema finanziario, dunque dell’intera economia, è minacciata”. E di chi è la colpa? Risponde Rossi: ha vinto “la pressione politica dei Paesi del Nord Europa”.

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